Regia di Rachid Benhadj. Un film Genere Drammatico – Algeria, 2019, durata 90 minuti.
UNA BAMBINA CHE PARLA AI FIORI.
L’Algeria è un limbo che separa l’Inferno, la Costa d’Avorio devastata da guerre, dal Paradiso, l’Italia, dove molti scappano verso una promessa di ricchezza e benessere, lontano dalle loro famiglie, ma in fin dei conti per il loro bene. Molti ivoriani lasciano a fatica il loro Paese nel cuore dell’Africa Nera per finire in un altro, all’apparenza più sicuro e occidentalizzato, ma in realtà altrettanto meschino: l’Algeria.
Come un Adamo alla ricerca del suo Paradiso perduto, la piccola protagonista di questa storia, Mona, si muove in un universo di crudeltà e perversità, miseria e decadenza, con la speranza di guadagnare il denaro necessario per permettere a lei e alla madre di raggiungere l’Italia, dove il padre è lì ad aspettarle. Per riuscire in questa impresa deve sottostare alle crudeli imposizioni dello zio, che la vuole ogni mattina al porto a chiedere l’elemosina insieme alla madre, pure lei insensibile ai bisogni della figlia. Girovagando per le rovine di Tipasa, tra turisti e stupendi scenari assolati, Mona fa la conoscenza di Said, un altro bambino che come lei è costretto a lavorare alle dipendenze di un uomo senza scrupoli. I due inizialmente si fanno la guerra, vendono infatti fiori nei medesimi luoghi e sono costretti a rubarsi la clientela. Presto però il loro animo puro, l’innocenza e un’inspiegabile forza che li attrarre trasformano le angherie e i dispetti in un solido e profondo sentimento di amicizia. I due si scopriranno tenere l’uno all’altra.
Un film forte e toccante, scritto e diretto da Rachid Benhadj, che si svincola dall’essere retorico e scontato e racconta una bellissima storia di amicizia, pura e inaspettata. A tessere come un filo le trame del racconto è la voce della piccola Mona, che tuttavia ci conduce attraverso una storia sempre più oscura e triste. I momenti di spensieratezza che catturano i protagonisti in uno splendido luogo (bagnato dal mare, ombreggiato dagli ulivi e punteggiato di resti archeologici), dove i due si incontrano, si affrontano, si cercano, corrono, si rifugiano in posti segreti e finiscono per giocare insieme, viene via via corrotto da una vicenda che assume contorni scurissimi. Con una scelta registica accorta, le violenze e i soprusi peggiori a cui i due piccoli sono condannati vengono lasciati intendere in modo sottile, ma ciò li rende forse ancora più terribili e inaccettabili. Il contesto in cui i due protagonisti si trovano a vivere cozza terribilmente con l’atmosfera fiabesca e idilliaca che si portano dietro, facendoci piombare crudelmente in una realtà peggiore di quella che ci aspettavamo.
Nonostante si tratti di bambini, il regista algerino articola bene le personalità complesse dei due protagonisti: se lei è sveglia, scaltra e baciata dalla fortuna – forse per la sua devozione a un suo “Gesù” e per un naturale fiuto per il pericolo ¬– lui è nei guai di continuo e poco avvezzo al lavoro che tuttavia è costretto a fare. Ma ciò che li differenzia di più e li rende complementari è la tenacia di Mona a non voler scendere a compromessi, il suo essere combattiva e furba che fa da contraltare all’arrendevolezza di Said, il quale in modo disilluso accetta suo malgrado le punizioni e le botte, come una realtà a cui non può sottrarsi. Queste premesse vengono tuttavia ribaltate nell’evolversi di una pellicola dove gli adulti sono il male a cui neanche il sodalizio dei due bambini potrà contrapporsi e salvarli.